La nostra reazione al pianto di un neonato.


Nella società adulta il pianto è considerato come un sinonimo di uno stato di tristezza, di malessere, sia fisico che psicologico, o di impotenza. Per un bambino molto piccolo, invece, i significati che può assumere il pianto sono incredibilmente vasti e molto più variegati di quanto si possa immaginare ad una prima, superficiale analisi.

Un neonato, infatti, non ha altri modi di comunicare e di far sentire, in qualche modo le proprie esigenze, se non con il pianto. Che voglia far arrivare ai propri genitori un concetto di malessere o di dolore, che abbia fame o freddo, che sia stanco, annoiato o un po’ stressato, il bimbo tenta di comunicare piangendo: sta poi alla bravura dei genitori, in primis, o delle persone che gli sono attorno, capire di che tipo di richiesta si tratti. È molto importante, infatti, che i genitori riescano a superare quel primo, momentaneo momento di empasse e si concentrino, ponendosi in un comportamento critico per comprendere cosa stia cercando di dirci il piccolino.

Il pianto del neonato

Ecco, appunto. La chiave di Volta è proprio quella di non farsi prendere dall’ansia immediata e di superare presto il momento iniziale di panico. Recenti studi hanno, infatti, dimostrato che il pianto di un neonato è uno di quei suoni o rumori che più di ogni altra cosa fa scattare immediatamente il nostro cervello. Solo cento millisecondi sono il tempo di reazione di noi adulti nel momento in cui sentiamo piangere un bimbo, e tale scatto (paragonabile al tempo di battito di ciglia) unisce indistintamente chiunque: uomini, donne, sposati e non, genitori e non.

Questi sono i risultati più interessanti ottenuti da uno studio realizzato dall’università di Oxford e guidato dalla dottoressa Christine Parsons, presentato nella recente convention, tenutasi in ottobre a New Orleans, ed organizzata dell’organizzazione Society for Neuroscience. Lo studio prevedeva di monitorare il cervello di 28 persone, con lo scopo di evidenziare la loro velocità di reazione all’ascolto di urla e lamenti di diverse specie viventi. Per fare in modo che l’analisi avesse un carattere quanto più generico possibile sono state selezionate delle persone senza figli e senza particolari precedenti o conoscenze nella cura dei bambini, sia uomini che donne. Nonostante questa loro evidente inesperienza, tutte le persone hanno reagito nello stesso modo nell’udire il pianto del neonato, con una reazione neuronale praticamente immediata di soli cento millisecondi. Sembra, quindi, che quel primo ed immediato momento di empasse nel momento in cui sentiamo piangere un bambino piccolo non è legato alla nostra inesperienza o ad un recondito stato di ansia: è semplicemente nella nostra natura aiutare una creaturina indifesa della nostra specie. Forse, tale reazione è proprio legata al concetto di “mantenimento e continuità della specie”, insito in ognuno di noi, o forse il pianto di un neonato è un suono così straziante da non poter assolutamente essere ignorato.